Brexit e Roma: La nostra grande opportunità
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Tra il 19 e il 23 giugno il
giorno e la notte si sono incontrati. A loro insaputa, due eventi
geograficamente e concettualmente distanti tra loro, si sono improvvisamente
collegati. Le elezioni amministrative in Italia e la Brexit. Qual è il loro
legame? Niente apparentemente, tantissimo nella realtà dei fatti. La storia è
semplice nella sua complessità: da una parte una città globale, Londra, che si
sgancia dall’UE e perde pezzi di quell’ingranaggio che regola settori chiave
per la vita dell’Europa (banche e farmaceutico). Dall’altra, Roma e Milano
fresche di elezioni e con l’opportunità di raccogliere quell’eredità, entrare
nell’arena europea ed assumere un ruolo internazionale.
E qui l’affare si complica.
Perché a identico scenario corrispondono reazioni diverse. La posta, un piccolo
tesoro, non in fondo al mare ma aldilà della Manica e cioè la possibilità di
sfilare a Londra l’Autorità bancaria europea (EBA) e l’Agenzia dei medicinali
(EMA). Qui le strade si dividono: una città si muove tempestivamente, comprende
subito la grande opportunità che si sta manifestando e reagisce facendo sistema
tra istituzioni - seppure di colore diverso –, mondo economico, sociale ed
accademico. Una grande infrastruttura urbana fatta di servizi, industria,
conoscenza, ricerca - cioè una città per
quello che è (o dovrebbe essere) - che punta a diventare un centro di
eccellenza con una dimensione che si proietta molto oltre i confini nazionali.
Come? Attraverso un gioco di squadra tra pubblico e privato, un documento
unitario, un tavolo di coordinamento, misure di incentivazione,
l’individuazione delle sedi. In poche parole, una candidatura vera e propria.
Non fine a se stessa, ma che – con invidiabile coerenza - racconta la
traiettoria di sviluppo che la città ha già in mente. Questo ha fatto Milano.
Andiamo a Roma. È vero che qui
c’è il sole, il mare che mitiga il clima, la storia e la cultura. Per questo,
forse distratti, quel percorso virtuoso è sembrato non interessare o non essere
compreso. Come fosse un concetto distante, inapplicabile, che non ci riguarda.
Non serve un fine analista per vedere ciò che è evidente: a Roma non c’è
sistema e tantomeno visione. Un virus che contagia tutti, che non riguarda solo
la politica e non è un fatto recente. Un immobilismo cronico in cui tra
polemiche, conta dei topi, acrobazie istituzionali, non c’è stato un click che coinvolgesse per un obiettivo
comune – ora come in passato - tutti gli
attori di questa città. In poche parole, non c’è stata una manifestazione
d’interesse. Una colpa, si badi bene, equamente divisa. Le amministrazioni si
sono parlate a mezzo lettera, senza grosso entusiasmo, ma anche il sistema
produttivo, della ricerca, non si è palesato. La prova di una città ripiegata
sui problemi del presente ma che non si occupa e non si preoccupa del futuro e
della nuova missione che deve avere Roma. Perché la vocazione di città
burocratica e direzionale è ormai pressoché giunta ad esaurimento. Eppure Roma
avrebbe le carte in regola per attrarre e sviluppare un terziario avanzato di
matrice europea (come l’Ema per esempio) legato a filiere industriali già
presenti e competitive a livello mondiale. Tra queste – un cavallo di battaglia
di WikiRoma e mio personale – la filiera aerospaziale, che nel Lazio e
nell’area metropolitana di Roma Capitale anche nel primo trimestre di
quest’anno ha registrato fatturati record e una crescita esponenziale. Un
risultato che in termini di export posiziona il Lazio saldamente in testa alle
regioni italiane. Questo perché - e pochi lo sanno – è un sistema industriale
completo, dalla fase della ricerca a quello della progettazione fino a quello
della realizzazione. Una filiera che potrebbe dare a Roma l’occasione di diventare un hub europeo di raccolta e utilizzo dei
dati satellitari che grazie agli investimenti fatti dall’Italia e dall’Unione nei
programmi spaziali si stanno per riversare sull’Europa. Con la possibilità di far
crescere una nuova generazione di imprese, di applicazioni e servizi per la
città e per i cittadini.
La realtà ci dice che abbiamo una
squadra forte che però non ha voglia di giocarsi la partita. È come se Roma non
credesse in se stessa, preda di un limite psicologico. Perché forse il problema
è che Roma, prima di competere con gli altri, deve competere con se stessa, coi
suoi limiti, i suoi retaggi, i blocchi e gli ostacoli che mettono in salita le
idee, i progetti e le volontà di realizzarli. Allora ritariamo l’obiettivo: se non
vogliamo competere con Londra, almeno competiamo con Milano. Ma non tanto dal
punto di vista del risultato, quanto di quello del metodo. Creiamo un “modello
Roma” in cui le nostre peculiarità, la nostra storia rappresentino un valore
per costruire opportunità e sviluppare visione.
Con espressione canonica, il tempo
è scaduto. La possibilità è diventato dovere, l’ipotesi necessità. Senza
catastrofismi, voglio di lanciare un appello, non (solo) alla politica, ma a
Roma e agli universi che la compongono: avviate un sistema a cui partecipino
sindaco, presidente della Regione, sindaci dell’area metropolitana, il Governo,
Confindustria, le associazioni di categoria, le università e gli enti di
ricerca, le agenzie di sviluppo. Mettetevi intorno ad un tavolo, senza
ideologie e a prescindere dalle candidature. E, se potete, parlate di futuro.
Stefania Gliubich