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I NO che immobilizzano Roma


Ha ragione la sindaca. Il problema di Roma non è il “no” alle Olimpiadi. Il problema vero è tutto ciò che discende dal quel “no”. Possiamo anche arrivare a comprendere la preoccupazione per la gestione di un evento così grande.

Dal punto di vista economico, finanziario e dell’occasione che fa (qualche) uomo ladro. Ma gli strumenti di contrasto ci sono e altri se ne sarebbero potuti trovare. Anche, o soprattutto, in maniera condivisa. La questione non è il “no” all’evento di per sé. È il “no” all’idea di una città diversa, di una visione evoluta. Per questo nelle motivazioni del rifiuto si è continuato a ragionare sui termini stretti di un conto economico. Ma qui non si tratta di fare il saldo tra soldi spesi e panini venduti. Ospitare i Giochi avrebbe rappresentato un passo di apertura verso una dimensione ben superiore al raccordo anulare. E anche l’occasione per restituire ai cittadini strutture funzionali e soprattutto funzionanti visto  che – secondo la ricerca di Openpolis - con 0,16 centesimi Roma è ultima tra le grandi città italiane per spesa pro capite per gli impianti sportivi.

Le Olimpiadi erano, dovevano essere, un grande investimento per lo sviluppo di Roma attraverso la sua internazionalizzazione. I giochi sono attenzione mondiale, evoluzione, progresso. Con espressione semplice, una vetrina. Alla fine i processi sono più banali di quello che sembra. È come se per invogliare il pubblico a vedere uno spettacolo si facesse uno spot col teatro chiuso. Senza attori, scenografie, racconto. Il “no” è l’innesco di una perdita. Di nuovi investimenti (specie esteri), di interesse, di credibilità. Perché dovrei scegliere di creare impresa in una città che avverto ostile? Perché dovrei scegliere di studiare nelle università di un luogo che non mi regala prospettiva? Perché, da turista, venire a Roma quando Roma mi dice che non mi vuole? Da un monosillabo una reazione a catena. Che continuerà a produrre effetti e ad alimentarsi del dissesto della nostra città. Rinchiusa nella gabbia del suo immobilismo. E a raccontarlo sono i dati, non previsioni pessimistiche: nel 2016 ci potrebbe essere - secondo lo studio di Global Destination Cities Index, pubblicato da Mastercard – un sorpasso molto significativo. Milano sarà la città italiana che registrerà il maggior numero di visitatori nel nostro Paese (7,6 milioni contro i 7,1 di Roma). Una notizia che si spiega leggendo i numeri che raccontano come di quel totale, il 27,2 per cento va a Milano per lavoro, affari, meeting. Milano che conferma la sua vocazione internazionale, economica e ora anche turistica. Roma che conferma il suo rifiuto a diventarlo. Con un monosillabo.

Ancora una reazione a catena last minute. L’Italia non ospiterà i mondiali di Rugby del 2023. Il presidente della FIR Gavazzi ha ritirato la candidatura perché: “era strettamente collegata a quella di Roma 2024. E senza i giochi non ci sono più le condizioni per proseguire”. Per inciso, i mondiali di Rugby 2015 hanno portato al PIL del Regno Unito, paese ospitante, oltre 1 miliardo di sterline, hanno attirato 406 mila spettatori stranieri (con una permanenza media in UK di 14 giorni) e generato un giro d’affari complessivo di 2,4 miliardi di sterline (i dati li trovate qui http://www.rugbyworldcup.com/news/163399). Non a caso lo slogan degli inglesi era “too big to miss”. Chiaro “no”?


Stefania Gliubich
  • 0
  • 29 settembre 2016
Antonio Preiti Antonio Preiti Author

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